Artigiano tecnologico, imprenditore green.

Luca Sburlati
Ci sono imprenditori che puntano a costruire le aziende migliori al mondo e quelli che puntano a costruire le aziende migliori per il mondo. Ci sono imprenditori che vedono nella sostenibilità dei propri prodotti un limite e quelli che la vedono come un’opportunità. Ci sono imprenditori che producono quantità e quelli che producono qualità. Tanto come manager quanto come imprenditore, Luca Sburlati ha sempre scelto la qualità, l’innovazione e la sostenibilità. Laurea in Scienze Politiche internazionali e MBA alla Bocconi, Luca appartiene a una nuova generazione di imprenditori del fashion italiano che crede nel sogno di trasformare il Made in Italy nel pioniere della moda sostenibile nel mondo. E ogni giorno, con le aziende di cui è a capo, lavora per raggiungere questo sogno.

 

 

Intervista

Ti definisci “artigiano tecnologico”, ma in realtà sei più che un artigiano. Sei un manager a capo di un’azienda leader nella progettazione e produzione dei capi sfilata (Pattern) e anche un imprenditore, fondatore del marchio di abbigliamento organico N2R. Come unisci queste due anime (quella manageriale e quella imprenditoriale)? E quanto pensi sia importante avere un approccio imprenditoriale al proprio lavoro? 


Così come nella geografia, la maggior parte dei confini oggi non hanno più senso (nonostante qualcuno pensi il contrario), così avviene ormai nelle organizzazioni evolute soprattutto in quei mercati che sono dinamici come, ad esempio, il fashion. Questo significa anche ripensare le organizzazioni e le nostre aziende in modo molto diverso da come erano fino a pochissimi anni fa, e neppure esiste una differenza vera tra un ruolo manageriale apicale ed uno imprenditoriale. Personalmente ho avuto la fortuna di lavorare per grandi imprese multinazionali e poi per gruppi italiani con l’“imprenditore” vecchio stampo. Questo mi ha permesso di mutuare un mio modo di vedere le cose dove gli elementi principali non sono molti: avere persone assertive, positive e curiose (sempre) di imparare, investire in tecnologie avanzate provenienti anche da campi contigui e pensare al benessere sociale di tutti gli Stakeholders. Tutti elementi necessari per costruire un’azienda long-term. Se poi si hanno persone che oltre a queste caratteristiche uniscono la competenza nel sapere usare le proprie mani, si ha quel mix che ha costituito nei secoli la bellezza e l’unicità del Made in Italy, che spesso sottovalutiamo. Ecco appunto i nostri artigiani tecnologici.

 

Uno dei miei imprenditori preferiti di tutti i tempi è Adriano Olivetti. Già ai primi del Novecento era riuscito ad unire innovazione tecnologica a una cultura sociale d’impresa, creando un’azienda che non fosse soltanto espressione del profitto che faceva, ma anche delle persone che la rendevano profittevole. L’azienda di cui sei a capo (Pattern) è un ottimo esempio di sostenibilità d’impresa. Mi racconti che cosa avete fatto e cosa avete intenzione di fare per ridurre il vostro impatto ambientale e diffondere una cultura della sostenibilità?

Che cosa abbiamo già fatto è semplice, ovvero certificarci, tra i primissimi, secondo lo standard SA8000 in termini di Social Accountability, cioè tracciare in modo approfondito tutti i temi relativi alla gestione del personale, dell’ambiente e della sicurezza sia dal punto di vista nostro che della filiera di fornitura. Quando iniziammo, molti ci dissero che erano costi inutili e qualcuno lo pensa ancora oggi, ma io credo sia esattamente il contrario: essere certi di non avere falsi Made in Italy non solo è preferibile ma assolutamente necessario a tutela nostra, dei nostri clienti e anche del sistema Paese. Ciò significa avere personale specializzato e scegliere tra fornitori che vogliono crescere con noi ed altri che invece decidono di non investire e nel lungo periodo spariranno. L’Italia ha un enorme opportunità in questo senso di diventare la filiera sostenibile della moda, ma vanno tutelati seriamente i comportamenti virtuosi e puniti i furbi o i truffatori, un po’ come avvenne nel vino di qualità anni fa.

Cosa faremo? Non ci accontentiamo e dunque ci siamo posti l’interrogativo di cosa andasse fatto ed abbiamo scelto. Scelto di trasformare ancora una volta l’azienda nei prossimi anni aderendo ai 17 Principi dell’ONU per un mondo sostenibile entro il 2030. Scelti quattro di questi principi ci siamo concentrati su un piano di 5 anni per diventare un azienda “carbon neutral” in materia di emissioni di Co2 attraverso tutta una serie di azioni che ci porteranno anche ad avere notevoli vantaggi economici. Un esempio banale, abbiamo cambiato tutte le luci dell’azienda con Led a basso consumo, lunga durata e anche rilassanti per il personale. Infine tutto quello che facciamo in questo ambito lo misuriamo attraverso un report di sostenibilità redatto secondo gli standard internazionali GRI e che pubblichiamo dal 2015 accanto al bilancio economico-finanziario sul nostro sito, quindi a disposizione di tutti.

Essere certi di non avere falsi Made in Italy non solo è preferibile ma assolutamente necessario a tutela nostra, dei nostri clienti e anche del sistema Paese.

Per lanciare alcuni dei prodotti N2R hai organizzato diverse campagne di crowdfunding che hanno tutte raggiunto gli obiettivi di finanziamento. Il crowdfunding è un’ottima forma di finanziamento perché permette contemporaneamente di raccogliere fondi, farsi pubblicità e creare una base clienti, senza indebitarsi o cedere parte della società. Come avete fatto a organizzare la vostra campagna? Pensi sia lo strumento migliore per autoprodursi? Hai qualche consiglio da dare a chi vuole lanciare una campagna di crowdfunding? 



Non so se sia lo strumento migliore, personalmente penso sia una straordinaria scuola di imprenditoria, di successi e di sbagli che ti insegnano a guidare le barche successive. Certamente N2R è stato precursore di molte cose fatte successivamente, non ultima il nostro Marchio Esemplare acquisito nel 2015 che è diventato uno degli alfieri dello sportswear sostenibile italiano e che ci sta dando molte soddisfazioni.

 

Alla domanda: «Sir Branson, ci spieghi il segreto del suo successo in tre parole», Richard Branson, fondatore del gruppo Virgin, ha risposto: «People, People, People». Ed effettivamente le persone sono il motore di qualsiasi azienda. In passato tu hai ricoperto anche il ruolo di HR Manager e oggi gestisci un’azienda con 160 dipendenti. Oltre al curriculum, quali sono le competenze e le caratteristiche che più guardi in una persona? E quali sono, secondo te, le leve per motivare le persone con cui si lavora?

People certamente è una parte della risposta, tutti lo dicono ma in effetti pochi fanno qualcosa. Ho diretto aziende con migliaia di persone a libro paga e sono persuaso che soprattutto nel nostro Paese dobbiamo fare ancora moltissimo in questo senso. HR rarissimamente è davvero un business partner e dunque questo è un altro confine da superare. Dobbiamo formare responsabili della formazione e del personale che ne capiscano di business e CEO che ne sappiano di HR (non solo a parole). Parte del problema sta anche in alcuni imprenditori, ma oggi con la Digital Transformation questo cambierà più velocemente di quanto ci immaginiamo, basta vedere nel nostro settore quanto siano ormai importanti le sfilate come evento. Sono un po’ come il GP di Formula 1, vedi la Mercedes stravincere e poi vai in concessionario (ovvio se puoi permettertelo). Hamilton non è soltanto un pilota, ma anche una super icona, così come le gemelle Lisa and Lena, stars del social network per ragazzine Musically, sono icone di Fendi, marchio che fino a pochi anni fa vendeva pellicce per signore di mezza età. Ecco un HR lavora sui comportamenti (fantastico se avvenisse anche su quelli del cliente finale) ed aiuta il management ad avere persone che li interpretino bene, con passione e positività. Infine, ritengo che anche il pugno di ferro, utilizzabile nelle emergenze, nel lungo periodo porti alla distruzione di valore.

Un HR lavora sui comportamenti ed aiuta il management ad avere persone che li interpretino bene, con passione e positività.

 

Qualche domanda veloce

Se trovassi una macchina del tempo (funzionante…) e potessi fare soltanto un viaggio, dove andresti a vivere? Nel passato o nel futuro?

Un giorno ai tempi di Traiano, un altro quando saremo su Marte.

Che cosa ti spinge di più a lavorare? Fare soldi (making money), o fare qualcosa che dia un senso alla tua vita e abbia un impatto sul mondo (making meaning)?

Sicuramente la seconda altrimenti avrei fatto scelte diverse e meno rischiose, credo anche che fare cose che impattino positivamente dia molto più valore alla vita di un individuo. Recentemente abbiamo acquisito e salvato un’impresa umbra che rischiava di scomparire con eccellenze uniche in modellistica e prototipia: questo è qualcosa di straordinario che va oltre ogni valore economico.

Se potessi fare una cena con un imprenditore o manager (passato o presente), con chi ti piacerebbe cenare?

Cena a tre: Adriano Olivetti appunto e Bernard Arnault.

Ora stai trasformando il settore del fashion in un’ottica più sostenibile, quale altro settore ti piacerebbe trasformare?

Design / Furnitures.

Se potessi scrivere soltanto una parola su un grosso billboard nella piazza principale della tua città, Torino, quale parola sceglieresti?

SI TAV.

Come i tuoi prodotti, anche tu sei 100% Made in Italy. Hai studiato in Italia e vivi e lavori in Italia. C’è qualche altro Paese dove un domani ti piacerebbe vivere e lavorare?

Certamente in un Paese latino. Barcellona o Parigi vanno bene.