Negli ultimi mesi, sono tornato a proporre molte iniziative artistiche per il territorio e, soprattutto, per la città di Milano. Iniziative di Arte Pubblica, iniziative che portassero l’arte in strada a tutti, perché tutti hanno il diritto di viverla. Ma la città di Milano, nella figura di chi la governa, sembra essere più propensa ad ostacolare iniziative di questo tipo piuttosto che promuoverle. Così sono tornato a fare le cose come le facevamo una volta.
Certo, sarebbe bellissimo se il Comune di Milano desse muri e facciate cieche da dipingere. Ma non lo fa. Allora torniamo a dipingere le Cler, come si faceva negli anni Novanta. Sarebbe bellissimo se ci fosse un sistema di tassazione equo che permettesse alle giovani imprese di crescere e investire sul proprio futuro. Ma non è così. Allora torniamo a guadagnare meno. Riduciamo i margini. Lavoriamo meno a meno, senza più pensare al futuro, come cantavano i Sex Pistols negli anni Settanta. Sarebbe bellissimo avere una regolamentazione del lavoro che tuteli tanto il dipendente quanto il datore di lavoro o l’imprenditore. Un sistema realmente applicabile e compatibile con il tessuto lavorativo italiano, fatto per lo più da piccole e micro imprese. Ma non esiste. E allora torniamo a lavorare come si può. Con stage infiniti, apprendistati pluriennali e collaborazioni precarie. Come si faceva nell’Italia degli anni Cinquanta. Sarebbe bellissimo se in città si potessero organizzare feste e concerti, se ci fossero luoghi adibiti alla promozione di cultura giovane e indipendente. Ma non ci sono più. Allora torniamo ad organizzare feste clandestine come si faceva nell’America degli anni Trenta durante il proibizionismo. Sarebbe bellissimo se il Paese Italia valorizzasse i propri giovani, investisse su di loro e gli desse i meriti che gli spettano. Ma non è così. Allora torniamo ad emigrare come si faceva nell’Italia d’inizio Novecento, e come poi non si è più smesso di fare.
Mentre i politici si avvitano su se stessi e mentre l’economia italiana non ce la fa più non si può chiedere a chi, come me, ha fretta di vivere di fermarsi e aspettare. Il futuro dell’Italia è fuori dall’Italia. E fino a quando rimarremo in questa Medea che uccide i propri figli perché ha paura che le rubino il posto, l’unica cosa che possiamo fare, per non rimanere fermi, è andare avanti in retro-marcia e tornare a fare quello che si faceva un tempo nella speranza di farlo meglio.