In “Ali” di Michael Mann, ambientato tra gli anni ’60 e gli anni ’70, Muhammad Ali si batteva per un popolo, un valore e un’intera generazione di giovani che come lui rinnegavano la guerra. In “Rocky” di John G. Avildsen, ambientato tra gli anni ’70 e gli anni ’80, Rocky Balboa si batteva per l’orgoglio, l’amore e per dimostrare a tutti che non era soltanto un bullo di periferia. In “Warrior” di Gavin O’Connor, ambientato ai nostri tempi, Brendan Conlon, si batte per la crisi economica, il mutuo con cui si è comprato una villa e due macchine e per scongiurare il potenziale pignoramento della sua casa.
Citando la star di Harvard Michael Sandel, negli ultimi tre decenni, siamo passati da un’economia di mercato ad una società di mercato in cui il denaro filtra all’interno di ogni aspetto del comportamento umano e dove i mercati, e i valori di mercato, sono arrivati a governare le nostre vite come non era mai accaduto prima. Tutto è in vendita e i soldi sono diventati l’oggetto di scambio che ha travalicato i limiti morali dei mercati.
Questa crisi è una buona occasione per provare ad andare oltre il mero concetto di denaro per tornare a dare al mercato il suo giusto peso. I soldi sono importanti. Sono l’ossigeno per le nostre azioni. Ma esattamente come non viviamo per respirare ma respiriamo per vivere allo stesso modo dovremmo guadagnare per fare qualcosa e non fare qualcosa (di tutto) per guadagnare. La speculazione più grande dal dopo guerra ad oggi è stata quella di sostituire il mezzo con il fine. I soldi sono il mezzo per non il fine di. I soldi sono uno strumento, e in quanto tale, vengono dopo il bisogno, o dopo il desiderio. Non prima. I soldi non possono essere in sé il desiderio, ne tanto meno il bisogno.
In un’utopica società post-capitalista bisognerebbe limitare il guadagno in funzione della propria capacità di immaginazione. Si dovrebbe guadagnare solo quanto serve per poter soddisfare la propria immaginazione. Il resto è mera speculazione.
Tantissima creatività post-capitalistica a tutti.