“Mon ami, je suis trop heureuse; le bonheur m’ennuie. Concevez-vous quelque remède à ce dégoût du bien-être?”
Parafrasando un’annoiata e malinconica Giulia, protagonista del dimenticato “Giulia o la nuova Eloisa” di Jean-Jacques Rousseau, viviamo oggi in uno stato paradossale di troppa felicità. Il miracolo italiano, gli anni del boom economico, la tecnologia, la medicina, il sogno americano, tutto ci ha abituati a uno standard di felicità eccessivo, dopato e artificioso che ha finito con il farci dimenticare cosa sia la vera felicità. Viviamo nel terrore di perdere uno stile di vita che non ci è mai appartenuto ma che ora ci sembra irrinunciabile, lasciando spazio a un pessimismo esistenziale e fine a se stesso.
Al posto di continuare a guardarci attorno e crogiolarci in una crisi che sembra non finire mai, non sarebbe meglio guardarsi avanti e continuare a sognare? La noia e la paura uccidono il sogno mentre, mai come ora, il mondo ha bisogno di sognatori. Di persone che sappiano inventarsi un futuro nuovo e credano nelle loro possibilità di cambiarlo. E se proprio non siamo in grado di guardarci avanti, almeno proviamo a guardarci indietro. Non di tanto. Bastano sessant’anni, per rendersi conto di quanto siamo fortunati a vivere i tempi che stiamo vivendo e quanto vale questa nostra fortuna.
E’ un consiglio che ci sentiamo di dare a tutti quelli che alla domanda “Come va?” rispondono “Abbastanza Bene”, a quelli che non investono per paura della crisi, a quelli che pensano di non avere niente, a quelli che credono di vivere la peggior crisi dell’ultimo secolo, a quelli che danno per scontato quello che hanno, a quelli che si nascondono dietro alla mancanza di soldi, a quelli che non sorridono mai, a quelli che con i loro umori e le loro paure fanno crollare i mercati, a quelli che vivono alla giornata, a quelli che non sanno rinunciare alle loro grosse, grasse e inquinanti abitudini e a tutti quelli che, come la Giulia di Rousseau, sono disgustati dalla loro felicità.