Ogni tanto fa bene viaggiare con il pensiero. Serve ad affrontare con il giusto peso la realtà quotidiana. Immaginarsi un’altra vita, in un altro luogo, con altre persone e altri ritmi. Serve. E’ servito anche alla casalinga non ancora del tutto disperata April Wheeler di Revolutionary Road ritratta da Sam Mandes come il prototipo di donna intrappolata nel quotidiano. Soffocata da una vita assolutamente non-rivoluzionaria ma guidata da uno spirito assolutamente rivoluzionario che poca si presta alla villetta a schiera in pieno stile yankee anni ’50. Il solo pensiero di trasferirsi a Parigi dove “la gente vive e sente davvero” fa dimenticare tutto. La frustrazione, la noia, i problemi e perfino gli adulteri per lasciare spazio all’immagine di un futuro che non è più quello che era fino al giorno prima quando li si era e li si sarebbe stati fino alla fine. Ma poi l’istinto conformista dell’uomo moderno ha la meglio, l’horror vacui di un futuro incerto prende il sopravvento e il sogno s’infrange in un istante e in un istante si torna alla gabbia della vita che era e che ora appare ancora più claustrofobica. E’ quella che Arthur Bishop, interpretato da Jason Statham nel remake del film The Mechanic, chiama “Homesick for a place I’ve never been”, che poi di fondo è lo stesso sentimento che muove la coscienza solitaria di Hegel descritta da Sartre vagare per i luoghi di una città lontana alla ricerca di qualcosa di cui sente il bisogno ma di cui non conosce la natura. Un sentimento a metà strada tra la malinconia di un passato mai vissuto e la speranza per un futuro sconosciuto. Una dimensione senza tempo perché forse non esistente un proprio tempo. Nel tempo è bello sprofondarci perché, citando un Proust immenso di fronte alla sua illuminante maddalena inzuppata nel tè, la verità che si cerca non è in essa, ma in se stessi.