Nelle mie proustiane, improvvise e vertiginose cadute in un immaginario passato che ho conosciuto solo attraverso i racconti di chi per me lo ha vissuto, una delle cose che più mi manca è il concetto di futuro. La consapevolezza che quello che si produce oggi possa durare per sempre e che non debba necessariamente avere una data di scadenza impressa sul fianco. Una consapevolezza sempre più soffocata da mode fugaci, da crisi economiche paradossalmente dopate da costanti ansie da shopping e da un nichilismo apatico che sembra affliggere tutta la mia generazione. Voglio cose che durino nel tempo, che siano costruite a mano e che quando le uso ne possa carpire l’emozione di chi le ha costruite. Per non perdermi nel caos consumistico della contemporanea produzione di massa mi appunto le cinque cose con cui ho a che fare giornalmente e che più mi donano il piacere del loro utilizzo:
01. Il clack metallico della mia Triumph Bonneville T100 quando metto la prima.
02. Il clack veloce della mia macchina fotografica Panasonic Lumix GF1 ogni volta che scatto.
03. Il clack regolare delle mie scarpe in cuoio sull’asfalto.
04. Il clack scandito delle lanciette del mio Hamilton.
05. Il clack dei cassetti in legno del mobile che mi ha lasciato mio nonno in cui tengo tutti i miei documenti.