Perché ho co-fondato un asilo nido vegano

Scritto il 23 Maggio 2016

Diversi mesi fa insieme a mia moglie e ad alcuni nostri amici che come noi avevano da poco avuto un bimbo, abbiamo deciso di aprire un nido famiglia dove i nostri figli potessero crescere secondo alcuni valori che riteniamo imprescindibili come il rispetto per l’altro, la consapevolezza di quello che facciamo, la sostenibilità delle nostre abitudini, l’educazione, la creatività, l’immaginazione, l’importanza di crescere insieme secondo il ritmo della natura e la bellezza del tempo.
Abbiamo trovato nell’educatrice, e nella sua idea di asilo secondo natura, la persona ideale per dare forma a questo progetto e a questi valori ed è nato così il nido Naturà dove tra le tante scelte che abbiamo fatto c’è stata anche quella di adottare una dieta vegana coerentemente con uno dei principi cardine su cui si basa il nido:

Il rispetto per qualsiasi essere vivente, indipendentemente che sia un essere umano o un animale.

Oltre a questa scelta abbiamo deciso di usare solo giochi in legno poveri così da stimolare la creatività. Abbiamo scelto colori naturali e atossici così che i bimbi potessero giocarci e sporcarsi senza alcun rischio. Ogni giorno i bimbi cucinano insieme il cibo che poi mangeranno così da imparare l’importanza dell’attesa e il processo di trasformazione delle cose. Usiamo solo pannolini lavabili nel rispetto dell’ambiente e della salute del bambino e così via.
Due settimane fa, sul blog vegolosi.it è uscito il primo articolo sul nostro nido con il titolo: “Asilo vegano: il primo a Milano”, ripreso poi da altri siti e magazine on line fino a rimbalzare con toni decisamente differenti sulla prima pagina di Libero cartaceo che nell’edizione di Domenica 3 Aprile 2016 titolava: “Asilo nido vegano. I medici: Una follia”, per poi continuare a pagina 16: “Rischi neurologici e anoressia. Il no dei medici all’asilo vegano”. L’articolo, firmato da Alessandro Dell’Orto, ha suscitato molte reazioni e ha spinto diversi nutrizionisti a scendere in campo per smentire quanto riportato nell’articolo.
Nei giorni successivi siamo stati intervistati da molte testate cartacee e trasmissioni televisive tra cui TG3, Matrix, Marie Claire, La Stampa, Il Giornale che hanno approfondito la notizia scendendo più nel dettaglio e stimolando l’interesse e il dibattito. Di pochi giorni fa invece l’articolo su Famiglia Cristiana, firmato da Antonio Sanfrancesco che riprende i toni di Libero titolando: “Salvate i bimbi dalla dieta vegana”, trasformando l’opinione di un singolo medico (il dott. Calabrese), per altro opinabile, in verità assoluta e considerando la nostra scelta “parodossale”.
Ma veniamo al perché della mia scelta. Uno degli obiettivi principali che mi sono dato come padre, forse il più importante, è quello di far crescere in mio figlio un proprio senso critico, inteso come la necessità quotidiana di domandarsi sempre il perché di quello che vive, di quello che vede e di quello che fa. E la prima regola per farlo è dargli la possibilità di vedere ogni cosa da più punti di vista.
Io non sono vegano, da più di un anno ho smesso di magiare carne, ma non voglio imporre a mio figlio di seguire il mio esempio. Leone ogni tanto mangia carne la sera e sarà sempre libero di farlo quando vuole, però voglio mostragli che vivere senza necessariamente uccidere per nutrirsi è possibile, poi sarà lui a scegliere. Imporre a un bambino di essere solo vegano è tanto rischioso quanto imporre a un bambino di essere solo carnivoro. Il punto non è tanto cosa si mangia ma avere consapevolezza di quello che si mangia. Il punto è optare per un consumo critico e consapevole, ovvero sapere da dove viene e cosa comporta per sé e per l’ambiente quello che tutti i giorni mangiamo.

La libertà di scegliere passa dalla libertà di conoscere e di farsi domande.

Viviamo in una società che ha smesso di conoscere cosa c’è dietro alle nostre abitudini. Siamo passati da una logica in cui l’uomo era produttore diretto del cibo che consumava e quindi aveva piena consapevolezza della sua origine, fino a un estremo in cui l’uomo è divenuto consumatore inconsapevole di dove e come il cibo che consuma viene prodotto, aumentando esponenzialmente la distanza tra oggetto consumato (cibo) e soggetto consumatore (uomo).

Come è accaduto molte volte in passato, quello che oggi viene considerato “normale” un domani potrebbe non esserlo più.

Mangiare carne tutti i giorni anche più volte al giorno, non è “normale”. Considerare gli animali al pari di parti meccaniche di una catena di montaggio non è “normale”. Non sapere come e dove viene prodotto il cibo che mangiamo ogni giorno non è “normale”. Gonfiare le mucche di antibiotici e le loro carni di aromi chimici non è “normale”. Le condizioni di vita degli animali all’interno degli allevamenti intensivi non è “normale”. Sprecare 180 kcal per produrre una kcal di carne di vitello non è “normale”. Un intero pollo che costa meno di un pacchetto di insalata non è “normale”. E tutta questa normalità, che oggi accettiamo e non mettiamo in discussione, potrebbe compromettere il futuro dei nostri figli, quindi personalmente preferisco cominciare fin da subito a considerarla anormale.
Mio figlio passa sette ore della sua giornata all’asilo nido e sono felice che viva questo tempo in un contesto dove è normale farsi domande, dove è normale cucinare insieme il cibo che si mangia, dove è normale costruirsi i giochi con cui si gioca, dove è normale vivere secondo il ritmo naturale della vita, dove è normale riciclare e riutilizzare e dove è normale avere consapevolezza del proprio impatto sull’ambiente.
Per questo motivo sono felice di aver co-fondato il nido Naturà.


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