Perché la produzione di carne ha un impatto drammatico sull’ambiente.
La produzione di carne bovina richiede 28 volte più terra, 11 volte più acqua e sei volte più fertilizzanti — e libera cinque volte più gas serra — rispetto alla produzione di altri alimenti. Per non parlare dell’energia industriale. Per produrre una kcal di arance servono 3 kcal contro le 18 kcal per una kcal di pollo arrosto e le 180 kcal per la produzione di una kcal di vitello. E questo non è un problema da poco. Secondo molte stime, nel giro di cinquant’anni gli esseri umani viventi sulla terra raggiungeranno i dieci miliardi e una parte sempre maggiore di noi sarà energivora, il che deve prevedere necessariamente un cambio delle nostre abitudini tra cui, in primis, quelle alimentari.
Perché il problema non è la carne in sé ma quanta ne consumiamo.
Come per tutte le cose il problema non è mai la cosa in sé ma come la usiamo. Avere una macchina non è un problema. È invece un grosso problema se la usiamo ogni giorno per spostarci anche di qualche chilometro. Lo stesso vale per la carne. Il problema non è la carne in sé, ma quanta ne mangiamo. Viviamo in una società che ci ha abituato a vivere ogni giorno come se fosse Natale, a soddisfare subito ogni nostro bisogno e ogni nostro desiderio, per poi crearci nuovi bisogni e nuovi desideri irrealizzabili. L’uomo è onnivoro non carnivoro. Mangiare carne tutti i giorni, talvolta addirittura più volte al giorno, non è un bisogno primario. È un’abitudine innaturale e insostenibile. Tanto per l’ambiente quanto per la nostra salute (dall’obesità, alle malattie cardiache fino al cancro).
Perché gli animali sono tutti esseri viventi.
È incredibile come questo concetto apparentemente così semplice ed oggettivo sia in realtà assolutamente soggettivo. Biologicamente parlando, che differenza c’è tra un cane e un maiale? Da un lato consideriamo alcuni animali al pari degli esseri umani (li facciamo vivere in casa con noi, mangiare con noi, giocare con noi, crescere con noi, abbiamo le loro foto sul cellulare, mettiamo i cuoricini su Facebook quando vediamo la foto di un cucciolo di cane o di gatto fino ad arrivare a lasciare patrimoni in eredità ai nostri animali domestici) dall’altro però lasciamo che altri animali vengano barbaramente macellati. Il valore della vita, così come la sofferenza fisica e psicologica, dovrebbe essere un principio universale, non un fattore culturale. Chi siamo noi per decidere che alcuni animali debbano essere trattati come esseri sensibili e pensanti e altri come oggetti insensibili e incapaci d’intendere?
Perché se un pollo intero costa come un pacchetto d’insalata c’è qualcosa che non va.
Un pollo che costa 2 Euro non può essere considerato un pollo. Se al costo del pollo si aggiunge il costo della produzione, della distribuzione, della vendita e della comunicazione, si arriva al paradosso per cui il valore della vita di un pollo è meno di quello di una sigaretta. E questa è un’aberrazione resa possibile dallo sviluppo degli allevamenti intensivi di massa che considerano l’animale al pari di un bullone o di un qualsiasi componente meccanico. E purtroppo, soprattutto in Italia, sono pochissimi gli allevamenti che non rientrano in questa categoria.
Perché non abbiamo più consapevolezza di quello che mangiamo.
Da dove viene e come è prodotta la carne che mangiamo? È qualcosa che ci riguarda tutti eppure in pochi ne sono consapevoli. Siamo passati da una logica in cui l’uomo era produttore diretto del cibo che consumava e quindi aveva piena consapevolezza della sua origine, fino a un estremo in cui l’uomo è divenuto consumatore inconsapevole di dove e come il cibo che consuma viene prodotto, aumentando esponenzialmente la distanza tra oggetto consumato (cibo) e soggetto consumatore (uomo).
Perché solo da quando sono vegetariano al 93,34% mi sono accorto di quanta carne mangiavo.
Prima non ne avevo consapevolezza. Mi capitava di mangiare carne anche più volte al giorno senza rendermene conto. La nostra dieta è impregnata di carne. C’è carne ovunque. Panini, torte salate, primi, secondi, antipasti, affettati. È veramente difficile fare a meno della carne. Siamo passati da una società in cui la carne era qualcosa di raro a una società in cui non magiare carne è l’eccezione. L’unico modo per non mangiare carne tutti i giorni è fingermi vegetariano (al 100%), altrimenti, in un modo o nell’altro, un pezzo di carne finisce sempre nel mio piatto.
Perché meno si mangia carne più è buona.
Questa è un’altra cosa che ho scoperto solo da quando sono diventato vegetariano al 93,34%. Ora che mangio la carne molto meno, la gusto molto di più. Prima la davo per scontata. Aveva perso il gusto. Questo vale per tutto. Aumenta l’offerta diminuisce la domanda. Aumenta l’abbondanza di un bene ne diminuisce il valore. Quella che siamo abituati a mangiare oggi non si può chiamare carne, sembra più in cibo sintetico il cui sapore deriva da aromi chimici. E quindi perché mangiarla così spesso? È meglio mangiare 1 volta carne di qualità 10 piuttosto che 10 volte carne di qualità 1. Certo, sarebbe ancora meglio non mangiare carne del tutto. Sono sinceramente grato ai vegetariani perché compensano gli squilibri di una società drammaticamente carnivora. Ma, in tutta onestà, ancora non riesco a essere vegetariano al 100%.
Perché essere vegetariano al 93,34% sembra tanto ma non lo é.
Essere vegetariano al 93,34% sembra un numero alto ma non lo è. Posto che chi come me ha il privilegio di assumere due pasti (oltre alla colazione) al giorno per una media di 30 giorni al mese, essere vegetariani al 93,34% vuol dire, di fatto, mangiare carne una volta a settimana. Il che è già troppo. Questo breve articolo non l’ho scritto per “vantarmi” di essere vegetariano al 93,34% ma per scusarmi con il mondo e con tutti i suoi esseri viventi di non riuscire (ancora) a rinunciare al 6,66% di carne.