Qualche giorno fa di ritorno da una corsa, passando per una via, ho sentito una musica, fatta solo di qualche nota su un pianoforte, uscire dalla finestra di una casa, presumo all’ultimo piano di un palazzo. Non mi sono fermato, ma la musica era sufficientemente alta da accompagnarmi fino alla dine della via. La musica era stupenda. Mi sono sentito come Vinz e Hubert nel film «La Haine» quando, passeggiando per le vie della loro banlieue, sentono il remix di “Non, je ne regrette rien” di Edith Piaf ad opera del Dj Cut Killer diffondersi nell’aria. Non ho idea di che musica fosse. Non avevo con me nessun mezzo all’infuori di un banalissimo orologio da polso. Nessuno smartphone. Nessuna applicazione. Nessun tablet. Quella canzone è durata il tempo di una via. E non avrò modo di scoprire mai che canzone fosse. E questo la rende ancora più bella. Più unica. Oggi con Shazam possiamo scoprire il nome di una canzone in pochi secondi. Con Spotify possiamo ascoltarla immediatamente e con un qualsiasi programma per scaricare musica MP3 possiamo farla nostra per sempre. Tutto nel tempo di una canzone o anche meno. La sentiamo. La abbiamo. E in tutto questo si perde tutta la bellezza dell’immaginazione. La bellezza della mancanza. La bellezza del momento. Stiamo andando verso un sistema dove tutto è subito. Dove tutto è programmato. Voluto. E ci stiamo perdendo la meraviglia dell’amor fati. Dell’accadimento. Quando invece la parte più bella non sta nell’avere ma nel poter immaginare di avere.