Seguendo il filone del nazi-art-revival lanciato da George Clooney con il suo recente “The Monuments Men”, ha da poco inaugurato presso la Neue Gallery di New York, la mostra “Degenerate Art: The Attack on Modern Art in Nazi Germany, 1937”, una collettiva che raccoglie alcune delle opere bandite durante il regime nazista in Germania perché etichettate come “degenerate”. La collezione comprende opere di Max Beckmann, George Grosz, Erich Heckel, Ernst Ludwig Kirchner, Paul Klee, Oskar Kokoschka, Ewald Mataré, Karel Niestrath, Emil Nolde, Christian Rohlf, Karl Schmidt-Rottluff e di altri artisti esposti nella celebre “Degenerate Art Exhibition” inaugurata a Monaco nel 1937 e portata in giro tra Austria e Germania fino al 1941. Molte delle opere esposte furono poi perdute, distrutte o vendute per finanziare il Drittes Reich, altre invece sono sopravvissute e sono oggi testimonianza del massacro culturale compiuto dai nazisti. Distruggere un’opera d’arte vuol dire distruggere un pezzo di storia, cancellare la testimonianza più viva della cultura dell’uomo. Visto con gli occhi di oggi sembra assurdo considerare un’opera di Marc Chagall o Wassily Kandinsky come qualcosa di degenerato o come una minaccia per la difesa nazionale. Eppure per i nazisti lo erano. Una delle più terrificanti potenze militari della storia spaventata da un quadro surrealista o da un ritratto cubista. Questa è la potenza dell’arte. La sua forza rivoluzionaria e propulsiva è qualcosa che spaventa perché di fronte a un’opera d’arte l’uomo non può che fermarsi a pensare e il libero pensiero è il pericolo più grande per una dittatura. In quest’ottica, il concetto di degenerazione è un qualcosa cui l’arte non può in alcun modo prescindere. L’arte è di per sé un’avanguardia e, in quanto tale, deve creare degenerazione. Nella sua ottica più positiva di generare qualcosa di nuovo, di cambiare il flusso della storia e del pensiero con la sua provocazione. La degenerazione è di per sé un momento chiave dell’evoluzione o, più in generale del cambiamento. Ogni cambiamento è passato dalla degenerazione del momento precedente che ha fatto strada alla sua naturale trasformazione. Un sistema è destinato di per sé a mutare e ogni tentativo di mantenimento dell’ordine coatto non solo è impossibile da applicare ma è altamente dannoso. Quello che bisogna temere della degenerazione non è mai la degenerazione in sé, ma la degenerazione della degenerazione. Quel momento in cui la degenerazione, che per molti versi può essere paragonata come forza propulsiva all’avanguardia, si trasforma nel suo opposto negativo è cioè la degenerazione di se stessa, cioè in una degenerazione della degenerazione, una degenerazione in sé, superficiale, sterile, inutile e fine a se stessa. Ci vuole coraggio e intelligenza per degenerare. La degenerazione è un punto di non ritorno, qualcosa che sovverte il sistema e ne re-inventa i paradigmi. La degenerazione è qualcosa di assolutamente dinamico, come la goccia d’acqua che Adorno usa per descrivere la “Dialektik im Stillstand” di Walter Benjamin. La degenerazione non si può imitare, o trasformare in qualcosa di pop, qualcosa di edulcorato per le masse. Un po’ come il punk-pop post Sid Vicious.