Sbagliare è lecito. Citando il signor Keuner di Brecht, dovremmo lavorare duro al nostro prossimo errore perché quello da evitare non è il disastro, ma il deserto.
E non mi riferisco al deserto in senso naturalistico o climatico, quello dovrebbe spaventare tutti, ma il deserto mentale, l’apatia, il non fare nulla. Come cantano lo Stato Sociale, niente come la noia sa uccidere i cromosomi, e io ai miei attivissimi ed entusiastici cromosomi tengo molto. Non riesco a stare fermo. Non riesco a seguire il consiglio di chi mi dice di non aver fretta. Sono vivo e ho fretta di vivere. Davanti a una torta sono quello che c’infila dentro il dito. La lentezza mi stanca. La banalità cmi soffoca. Mi innamoro di tutto. Sono come Bette Davis nella foresta pietrificata e non posso rinunciare alla mia Francia. Sono viziato dalla vita. Se una cosa non mi piace non la faccio e al permesso preferisco il perdono.
Evito l’horror vacui. Le pareti del mio studio sono piene di opere, i miei muri pieni di disegni e le mie giornate piene d’impegni. Ma tutto attorno mi sento circondato da una prudenziale e imbalsamata forma di tutela di un qualcosa che, ironia della sorte, non esiste più. La bolla è scoppiata, il danno è fatto, il minimalismo del pensiero non ha più senso. La pressione è alta ed è tempo di correre il rischio. Viviamo in un periodo dove abbiamo poco da perdere e molto da inventare, che senso ha avere paura di sbagliare oggi?
Con il disastro si cresce, con il deserto si muore. Certo, il deserto è la strada più semplice. Lasciarsi guidare da un facile vento di sazietà e d’impunità nella speranza che tutto rimanga immobile è più facile. Il disastro richiede responsabilità, intelligenza e una tensione continua verso una direzione ostinata e contraria che nessuno può dire dove e cosa porterà. E’ un rischio ma, per quel che mi riguarda, è un rischio cui io non posso prescindere.