Gli americani sono i capi del pragmatismo. Penso che questa sia una verità lapalissiana. Riescono a realizzare e valorizzare anche le idee più semplici e scontate e trasformarle in un successo. Per Andy Warhol l’arte non andava pensata ma fatta. Per Elvis Presley serviva meno conversazione e più azione. Per Thomas Edison il genio era per l’1% ispirazione e per il 99% sudore. Per la Nike bisogna solo fare (just do it) e per il fondatore del network Behance, Scott Belsky, non è l’idea che conta ma far accadere l’idea. Gli europei invece sono più contorti, si arrovellano su pensieri arditi, si arrotolano su teorie e riflessioni che non sempre riescono a mettere in pratica. Sono più profondi. Penso questa sia un’espressione della nostra storia. Quando l’Europa viveva il Rinascimento, l’America era ancora una terra inesplorata. Il tema però non è una veloce e superficiale categorizzazione del mondo occidentale in europei riflessivi e americani pragmatici, ma una (forse altrettanto veloce e superficiale) considerazione sull’ondata di saggistica americana che sta invadendo gli scaffali delle nostre librerie. La domanda è, come può una cultura che promuove il pragmatismo e il fare più che il pensare, proporre libri e saggi che sono di per sé la concretizzazione più alta del pensiero sull’azione? I manuali “how to” scritti da persone che sono più abituate a fare piuttosto che pensare non è un controsenso? Voglio dire, sarebbe come lanciare un’impresa il cui assunto, la cui mission per dirla all’americana, non è fare ma pensare. Sarebbe assurdo. Un’azienda il cui claim è “Just Think It”.