Non so perché ma la mela è da sempre stata molto più di una semplice mela. Il suo significato è sempre andato oltre il suo mero significante. Alla mela non corrisponde un frutto, come per la pera o per qualsiasi altro frutto, alla mela corrispondono mondi, miti e leggende che da secoli e secoli l’uomo si tramanda, trasformando così un semplice frutto in un oggetto immenso. Prima ci ha provato la Bibbia dando alla mela un significato ultra-terreno, racchiudendo nella bellezza delle sue forme tonde e perfette addirittura l’intero peccato originale cui ne Adamo ne Eva seppero resistere. Poi ci ha provato Isaac Newton che sulla mela ci ha costruito una teoria che ha rivoluzionato il mondo e poi per ultimo il compianto Steve Jobs che sulla mela ci ha costruito un impero che adesso vale più di uno stato intero. E neanche i Beatles, all’apice del loro successo, quando potevano avere tutto come dei contemporanei Adami persi nel loro Eden Pop-mediatico, non hanno resistito al gusto biblico di chiamare la propria etichetta musicale “Apple”. E tutto questo ci sta, Dio è per eccellenza l’espressione massima dell’ambizione dell’uomo e la mela ne è la sua massima espressione. Ci sta se lo fanno i Beatles che si definivano, a torto o a ragione, più famosi di Gesù Cristo. Ci sta se lo fa Steve Jobs che di fatto è riuscito a creare il credo della mela morsicata e diffonderlo in tutto il mondo. E ci sta anche se lo fa Isaac Newton considerato una delle più grandi menti di tutti i tempi. Tutto è lecito purché si rimanga su un piano immaginario dove l’oggetto, in questo caso la mela, altro non è che un mezzo, un media per traghettare un pensiero molto più alto e complesso. Quello che non ci sta è che la mela divenga realmente un oggetto altro. Perché nella realtà una mela è una mela. Può essere verde, gialla o rossa ma rimane e rimarrà sempre un frutto. Sano, semplice e soprattutto popolare. E’ per questo che ieri mentre ero bloccato in moto sotto la pioggia in circonvallazione a Milano sono rimasto fastidiosamente infastidito quando di fronte a me vedo passare un lungo tram tutto rosa, pieno di alberi da frutta e cieli sereni con un’enorme mela rosa e un altrettanto enorme claim: “Pink Lady, molto di più di una mela”. Ecco questo è il punto di rottura del Marketing. Quel punto molto delicato in cui il Marketing travalica il senso stesso della realtà per trasformarsi in un inutile fardello fine a se stesso. Una mela è una mela. E non c’è marketing che tenga. Vendere una mela, vera non come quella della Bibbia o di Steve Jobs o dei Beatles, come qualcosa che va oltre la mela stessa è un insulto per i consumatori. Nell’immaginario collettivo la mela è un simbolo. Nei mercati e nei supermercati di tutto il mondo invece la mela è un frutto. Punto. Solo un frutto. Non è un simbolo. Non è un mondo. Rappresenta solo quello che è. Un frutto. La mela di Steve Jobs può costare migliaia di euro, la mela di Isaac Newton può cambiare il mondo ma la mela che si trova sulle bancarelle della frutta di milioni di mercati al mondo deve assolvere alla sola funzione di sfamare chi la compra. Tutto il resto è un inganno. E l’inganno non fa parte del marketing.