Ho sempre pensato che il segreto del marketing contemporaneo fosse creare le condizioni per immergere il proprio fruitore all’interno di una moderna, e decisamente più blanda, sindrome di Stendhal. Irretire e catturare l’attenzione facendo scivolare il potenziale consumatore nelle meraviglie archetipe del brand. Attraverso qualsiasi mezzo. Promesse, immagini, emozioni, sensazioni e parole. Una fitta rete di messaggi e significanti il più delle volte fini a se stessi, nati dalla sola volontà di rompere la barriera tra l’immagine del prodotto e il suo consumatore finale. Un lavoro molto simile al lento e meticoloso tesser tele del ragno che aspetta paziente l’inciampar distratto della mosca nella sua ragnatela. Ora però nasce spontanea una considerazione. Da sempre la tela del ragno è trasparente e la sua tecnica si fonda proprio sulla capacità di nascondersi nei più sinistri pertugi così da non farsi scoprire dalla sua preda. E’ la naturale evoluzione della specie animale. Eppure l’uomo riesce, anche in questa liturgica caccia alla preda, a palesare tutta la sua innata arroganza. Se in natura vince il predatore che meglio si mimetizza, nello sfavillante mondo del marketing sembra regnare la legge contraria. Una corsa a chi più ostenta il proprio nome. Una gara a chi ce l’ha più grosso che mi chiedo se oggi, in piena crisi economica e soprattutto in pieno bombardamento mass mediatico, ancora funzioni. In tutta onestà questa è una riflessione che non nasce dal caos pubblicitario che mi circonda e neanche dalla mia naturale propensione all’analisi, ma piuttosto dal confronto tra le uniche due serie televisive con cui abbia mai avuto a che fare. Friends vs Scrubs che, nonostante i molti rimandi, appartengono a due generazioni televisive molto diverse. Friends nasce negli anni ‘90 e vive un decennio in bilico tra il luccichio fugace degli anni ’80 e l’ansia da prestazione di inizio secolo. Scrubs invece è una serie televisiva più contemporanea e sicura di sé che si è lasciata alle spalle il peso gravoso del XX secolo ed è riuscita a parlare ancora di vita da ospedale senza scadere nel pietismo sentimentale di chi prima di lei. Eppure la differenza più grande tra le due sit-com penso sia data dalla presenza, in Friends, delle risate registrate che scompaiono totalmente in Scrubs, come a voler segnare una nuova fase della televisione dove lo spettatore è sufficientemente maturo da poter scegliere quando e come godere della propria sit-com. Penso sia questo un passo molto importante che segna una sorta di fine dell’adolescenza televisiva e che lascia spazio ad una fruizione più consapevole dell’intrattenimento. Di fronte a questa rivoluzione mi chiedo se questa ingerenza dell’altro fosse veramente necessaria. Se fosse veramente indispensabile avere un direttore-di-risata che scandisse i miei personali momenti di transfer mediatico. Io penso di no. Vista oggi una puntata di Friends mi sembra intrusiva e fastidiosamente artefatta come se violasse la dimensione intima della mia soggettiva fruizione della puntata. E così mi chiedo se questo non valga anche per il marketing e per tutte quelle situazioni in cui tra me e la fruizione di qualcosa c’è di mezzo un forzato terzo incomodo che infrange la magia dell’incontro e frantuma l’immaginario contro il gravoso piano del reale, impedendomi di immergermi nell’altro. Perché i brand sono ancora così legati alla presenza, quanto più grande possibile, del proprio logo? Cosa vale di più, una scritta o un mondo di valori e immaginari? Forse il mondo del marketing è ancora troppo spaventato dalla crisi per lasciarsi andare e avere fiducia del proprio consumatore, o forse è troppo pigro per rendersi conto che la fruizione di un brand è cambiata e non basta più spendere milioni di euro per comprare spazi pubblicitari sempre più grandi che però non emozionano più nessuno. Oggi vincono le emozioni e le emozioni non si possono comprare. Ma soprattutto non si possono comandare. Scrubs ti invita a ridere ma non ti dice quando ridere. Riporta il soggetto al centro del suo fare televisione senza l’ambizione di guidare il proprio pubblico verso una comune risata pre-stabilita. Il marketing deve necessariamente rendersi conto che la consapevolezza di un brand non è più sbilanciata sul numero di persone che conoscono il nome di un’azienda ma da quante persone sposano i valori di una marca e sono disposti ad immergersi nel suo immaginario, spontaneamente, senza essere comandati o forzati.