Punk City

Scritto il 20 Settembre 2007

Port au Prince e’ l’iperbole distorta di un’ Agrigento degenerata. Non c’è senso critico per il futuro. Tutti sembrano vivere in un presente screpolato da una vertiginosa corsa alla sopravvivenza. Una terra no future dove la filosofia quanto mai contemporanea di Johnny Rotten sembra governare incontrastata in un dedalo di strade senza nome ingarbugliate su se stesse. I margini sono discariche a cielo aperto i cui abitanti si mischiano a capre e maiali. L’inquinamento e’ talmente alto che l’aria si appiccica addosso come miele, con il suo odore mefitico e nauseante che si mescola alla pelle. Di tutti i sensi l’olfatto e’ quello che accusa di più mentre anche oggi attraversiamo tutta la città per andare a dipingere l’ultima scuola nell’ennesima bidonville a sud di Port au Prince. La prima cosa che ho messo a fuoco appena sveglio e’ stato un grosso ragno nero vicino al mio cuscino che mangiava un ragno più piccolo, il che lo faceva apparire ancora più grosso. Buongiorno! Abbiamo passato tutta la mattina a dipingere le lettere dell’alfabeto sotto un sole cocente. Ci saranno stati 50 gradi all’ombra. Il sole mi spaccava la testa e la faceva pompare come una spugna bagnata. Le lettere sembravano infinite. Mentre dipingevo mi sentivo come il giovane monaco di “Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera”, che per ritrovare la pace interiore incide meticolosamente tutto il pavimento in legno del suo eremo, lettera per lettera. Ma lo sbatti piu’ grosso e’ stato trasportare le lamiere per costruire il tetto della scuola. Lamiere verdi e incandescenti alte tre metri. Sulle mani sudate scivolavano come lame. Come se non bastasse, appena finita la scuola, e’ scattata la partita Italia vs Haiti, peccato che di italiani fossimo rimasti solo io e ivan. E’ stato devastante. Alla fine ce la siamo cavata con un più che dignitoso 1 a 0 per loro.