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CORRENTE
A cura di Jacopo Perfetti.
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«Internet sta rendendo le persone intelligenti più intelligenti e le persone stupide più stupide»
- Kevin Drum
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questa è Corrente, una newsletter sui fenomeni dell’epoca corrente, oggi parliamo di Productivity Dysmorphia mentre settimana prossima parleremo di Shecession.
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Mi sento di dire che il filosofo francese Cartesio sia stata una delle figure più rivoluzionarie della storia della Filosofia. Con il suo pensiero infranse la visione medioevale della realtà come ordine gerarchico e introdusse l’idea di una realtà meccanicistica dove l’uomo pensa, dunque è, ossia esiste e la ragione diviene il fondamentale organo di verità. All’interno del suo celebre Discorso sul metodo, il filosofo francese Cartesio si dà solo quattro regole per vivere, a patto di prendere la ferma e costante risoluzione di non mancare di rispettarle neanche una sola volta. Una delle massime che hanno sempre guidato il filosofo lungo tutta la sua vita era quella di essere quanto più possibile fermo e risoluto nelle proprie azioni. Si dava un obiettivo e lo portava a termine.
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È una visione molto meccanica della disciplina. Forse troppo. Ma in certi periodi aiuta. Soprattutto quando abbiamo sempre l’ansia di non fare mai abbastanza e anche quando portiamo a termine tutti i punti sulla nostra ToDoList sentiamo ancora una sorta di vuoto esistenziale che ci accompagna per tutta la giornata.
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Magari non hai mai provato questa sensazione, ma se l’hai provata potrebbe consolarti sapere che ha un nome: Productivity Dysmorphia (Dismorfia Produttiva) che indica l’incapacità di riconoscere il proprio successo perché ci sembra di non fare mai abbastanza. Come scrive la giornalista Anna Codrea-Rado, è come se ci guardassimo allo specchio della nostra vita professionale e non vedessimo il ritratto di quello che abbiamo fatto, ma solo i nostri fallimenti.
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Productivity Dysmorphia: L’incapacità di riconoscere il proprio successo perché ci sembra di non fare mai abbastanza.
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La Productivity Dysmorphia segue altri fenomeni “dismorfici” tipici del nostro tempo come la Money Dysmorphia, pensiamo di non avere mai abbastanza soldi anche quando ce li abbiamo, oppure l’ancor peggiore Body Dysmorphia, bombardati da immagini più o meno reali di persone che pensiamo essere più belle di noi, ci sentiamo costantemente in ansia per il nostro aspetto estetico.
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Sono bias cognitivi che rispecchiano molto bene la nostra epoca caratterizzata dall’ansia per il futuro (Money Dysmorphia: avrò abbastanza soldi? avrò un lavoro?), dal costante confronto con la vita più o meno artefatta delle persone che seguiamo sui social (Body Dysmorphia: sono alla loro altezza?) e dai molti stimoli con cui ci confrontiamo ogni giorno (Productivity Dysmorphia: forse potrei farlo anche io. Forse non sto facendo abbastanza).
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Una soluzione a queste dismorfie potrebbe arrivare da molto lontano. E più precisamente dalla Grecia di Socrate che, come è noto, ripeteva spesso: “Conosci te stesso”.
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In un’intervista di qualche anno fa, lo scienziato Paul Dolan sostiene come per essere felici sia fondamentale conoscersi, sapere cosa ci fa stare bene e vivere secondo le proprie metriche, non quelle di qualcun altro. Ed ha ragione. Spesso giudichiamo la nostra vita non secondo le nostre metriche, secondo quello che noi vogliamo o quello che ci fa stare bene. Ma secondo quelle di qualcun altro. Quelle dei nostri genitori, quelle della società in cui viviamo, o delle persone che conosciamo. E questo ci rende profondamente infelici perché passiamo la vita a comparare la nostra felicità con quella di qualcun altro, spesso senza neanche sapere se questa persona sia veramente felice.
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Non pensiamo a quello che ci fa stare bene. Ma solo a quello che qualcuno ha (o pensiamo che abbia) e che noi non abbiamo. Soldi, Followers, Amici, Successo, Amore. È tutto una sfida. Con la beffa che non c’è limite alla sfida. Perché ci sarà sempre qualcuno migliore di noi. Se invece capiamo cosa conta veramente per noi, cosa ci fa stare bene e usiamo questa come unica metrica per la nostra felicità, allora non possiamo che migliorarci (ed essere felici) ogni giorno di più.
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Muro filosofico #22: “Mi manchi come se ti avessi avuto” una frase meravigliosa che ha trovato un’amica su un muro di Milano e che mi ha ricordato un passaggio del film Professione assassino diretto da Simon West.
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Nel film, Arthur Bishop, interpretato da Jason Statham, è un sicario che vaga per gli Stati Uniti d’America alla ricerca della propria identità persa nella nostalgia per un posto in cui non è mai stato. Una nostalgia non per qualcosa che ha vissuto, conosciuto o avuto (come nel caso della frase sul muro), ma per qualcosa che sente di non aver mai vissuto e che in fondo vorrebbe vivere. Come la madeleine di Proust, Arthur Bishop è qui nello spazio ma questo non è il suo tempo.
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Oggi questo tipo di nostalgia è sempre più diffusa sotto forme diverse. C’è la nostalgia per il passato, la nostalgia per un’idea di futuro che non c’è più, la nostalgia per com’era Internet un tempo (la Netstalgia…), ma forse quella che si avvicina di più è la Fauxstalgia, ovvero la nostalgia per un passato che non abbiamo mai vissuto direttamente ma solo indirettamente tramite, per esempio, i film o la musica.
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È normale che sia così, il nostro presente è intriso di nostalgia. La politica che promette un ritorno a un passato glorioso. I social Media che ci ripropongono ricordi del passato. Il cinema che produce un sequel dietro l’altro. Le serie televisive ambientate in un passato che non c’è più (e che forse non c’è mai stato).
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Tutto sembra guardare più al passato che al futuro. Tanto che nel marketing, la nostalgia è diventata una vera e propria strategia usata da molti brand per coinvolgere e rassicurare il proprio pubblico, perché, come dice il professore di psicologia Clay Routledge, in tempi di incertezza dove nessuno sa dove stiamo andando, la nostalgia è una forza stabilizzatrice che ci fa sentire più sicuri.
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Sono Jacopo Perfetti, creo robot in grado di scrivere e scrivo cose che i robot non sanno (ancora) scrivere.
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Il mio ultimo libro, nonché primo romanzo, è T.E.R.R.A.
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Sono co-fondatore di Oblique.AI, agenzia di Intelligenza Artificiale applicata ai dati e alla creatività.
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