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CORRENTE
A cura di Jacopo Perfetti.
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«È bene seguire la propria inclinazione, purché sia in salita.»
- André Gide
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questa è la sedicesima edizione di Corrente, una newsletter sui fenomeni dell’epoca corrente, oggi parliamo di Zero Physical Assets Society mentre settimana prossima parleremo di Ghosting.
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In un popolare articolo uscito nel Marzo 2015 su TechCrunch, Tom Goodwin descriveva così l’allora contesto competitivo: Uber, la più grande compagnia di taxi al mondo, non possiede alcuna auto; Facebook, il più grande media owner al mondo, non crea alcun contenuto; Alibaba, il più grande retailer al mondo, non possiede alcun magazzino. E Airbnb, l’accommodation provider più grande al mondo, non possiede alcun immobile. Sta accadendo qualcosa di interessante.
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Oggi questo elenco si è ampliato ulteriormente. Youtube, il più grande produttore di contenuti video al mondo, non produce alcun video. Amazon KDP, la piattaforma di auto-publishing più grande al mondo, non edita alcun libro; Li&Fung, uno dei maggiori fornitori di abbigliamento per brand americani e europei al mondo, non possiede alcuna fabbrica tessile; Blablacar, tra i più grandi player del settore di auto trasporto privato su lunghe tratte in Europa, non possiede alcuna auto. E così via.
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Molte delle aziende citate da Goodwin sono realtà inaspettate che hanno innovato e sconvolto interi settori ridefinendone i paradigmi. In tutto il mondo stanno nascendo e si stanno sviluppando nuovi modelli di business che puntano meno sul capitale di mercato e più sul capitale sociale. Modelli che riducono al minimo gli asset fisici, e di conseguenza i costi fissi, per rimanere più snelli e flessibili. Questo paradigma riguarda tanto le aziende quanto le persone. Come sottolinea giustamente Jeremy Rifkin nell’ultimo ventennio stiamo passando da una relazione venditore-compratore a una fornitore-utente e dallo scambio di proprietà nel mercato all’accesso temporaneo al servizio nella rete.
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Le nuove generazioni infatti danno sempre meno peso al possesso (compro un prodotto per poterlo usare) per valorizzarne invece l’accesso (pago un prodotto solo quando lo uso). È un cambio di paradigma radicale che sta colpendo molti settori. Da quello del Fashion, penso a Nike che ha lanciato “Nike Adventure Club” un servizio destinato al target bambini e adolescenti che permette di sottoscrivere un abbonamento e ricevere nuove scarpe ad intervalli regolari con pacchetti da 20 o 30 o 50 dollari al mese, a quello dell’Automotive, dove aziende come Daimler (can Ca2Go) o BMW (con la campagna “Why Buy” o il servizio di car sharing DriveNow) stanno ripensando il concetto di fruizione dei propri prodotti a fronte del fatto che le auto che compriamo per il 90% del tempo rimangono parcheggiate sotto casa.
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Il concetto di Zero Physical Asset Company di cui parla Tom Goodwin può dunque essere esteso a una Zero Physical Assets Society, ovvero una società in cui tanto le persone quanto le aziende possiedono sempre meno asset fisici.
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Zero Physical Assets Society: Una società in cui tanto le persone quanto le aziende possiedono sempre meno asset fisici.
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Tornando al mondo delle imprese, oggi le aziende stanno vivendo tempi in cui tematiche come la sostenibilità ambientale ha assunto un ruolo di spicco nelle scelte decisionali e il valore della condivisione sta via via sostituendo il valore di scambio. Tempi in cui si sta avverando la profezia dell’economista tedesco Ernst Friedrich Schumacher per cui la produzione di massa sarebbe stata sostituita dalla produzione delle masse che stanno ridefinendo i parametri della supply chain a livello globale.
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Se da un lato micro aziende in meno di dieci anni arrivano a competere con i grossi player del mercato, dall’altro lato grandi aziende cercano in tutti i modi di diventare più snelle e flessibili. Ridurre al minimo i propri asset fisici ha infatti notevoli vantaggi. Da un punto di vista finanziario, per esempio, questo modello di business permette di:
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- Raggiungere in poco tempo una quota di mercato quanto più ampia;
- Portare il costo marginale - ovvero il costo di ogni unità aggiuntiva prodotta - a zero o prossimo allo zero così da garantire all’azienda una marginalità nel lungo periodo sempre maggiore e un ROI superiore alla media di settore;
- Ridurre il rischio operativo grazie a un sistema di costi fissi medio-bassi e costi variabili sempre minori;
- Avere un modello replicabile che permetta all’impresa di espandersi anche in settori non adiacenti, esportando le proprie attività distintive (come per esempio il Brand e la tecnologia).
Nel 2016 ho pubblicato un libro, “L’Impresa Concentrica” che analizza nel dettaglio questo nuovo scenario socio-economico e queste nuove forme di business che ho definito “concentriche” proprio per la loro capacità di mantenere i profitti al centro della propria struttura finanziaria dislocando su una rete di fornitori i principali costi fissi. Se vuoi approfondire questi argomenti trovi un riassunto del libro qui.
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AVVISTAMENTI
Cose interessanti che ho trovato online e offline.
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- Una tv per guardare la tv degli anni 90. [Link]
- Cinque consigli per essere più saggi. [Link]
- Trova il tool che ti serve. [Link]
- Cosa succede su Internet ogni minuto (es: le persone spendono 283.000 dollari su Amazon). [Link]
- The Economy: un manuale di economia online gratuito. [Link]
- Alberi incredibili. [Link]
- Elon Musk lancia la GigaBeer. [Link]
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Muro filosofico #16: “È tutto falso”, una frase che mi ha ricordato un passaggio della serie “Chernobyl”.
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In uno dei suoi monologhi, Valery Legasov riflette su come il vero pericolo delle bugie è che a furia di sentirle non siamo più in grado di riconoscere quello che è vero da quello che non lo è. E questa è una grande verità. Una verità che nel 1986 ha causato il disastro di Chernobyl e che oggi sta causando il disastro delle Fake News (con tutti i suoi derivati). Siamo così sommersi dalle Fake News che, sfiniti, pensiamo che tutto sia falso, anche quando non lo è. Oppure, peggio ancora, pensiamo che tutto sia vero, anche quando non lo è.
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Più di un anno fa, durante un’intervista Steve Bannon disse: «The Democrats don’t matter. The real opposition is the media. And the way to deal with them is to flood the zone with shit.» Ed effettivamente questo è quello che accade quotidianamente sui Social Media. Un’inondazione di spazzatura mediatica che non fa altro che confondere le idee, seminare il panico, diffondere notizie false e screditare ogni teoria scientifica di valore.
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Di fronte al proliferare di Fake News e mis-informazione prodotta ad hoc per plasmare la mente di miliardi di persone, penso che il ruolo dei giornalisti sia più critico che mai. Da una parte, resistere alla tentazione della celebrità effimera e della viralità pericolosa dei Social Media producendo dei contributi di qualità (e non di quantità). Dall’altra trovare il modo di contrastare “la flood of shit” di personaggi come Steve Bannon.
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