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CORRENTE

A cura di Jacopo Perfetti.

«Il vero test d’intelligenza non è quanto sappiamo come fare, ma come comportarci quando non sappiamo cosa fare.»

- John Holt

Buongiorno,

questa è la quindicesima edizione di Corrente, una newsletter sui fenomeni dell’epoca corrente, oggi parliamo di Blanding mentre settimana prossima parleremo di Zero Physical Assets Society.

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Buona lettura, Jacopo

2021_10_15_Blanding
L’8 maggio 1886, ad Atlanta, il farmacista statunitense John Stith Pemberton inventa una bevanda per il mal di testa e la stanchezza e la chiama Pemberton’s French Wine Coca. Qualche mese più tardi, decide di togliere l’alcol e sostituirlo con un estratto di noci di cola. A questo punto si rende conto che il nome scelto per la sua bevanda non va più bene. Del french wine era rimasto ben poco. Così, decide di chiamarla Coca-Cola, semplicemente combinando i suoi due ingredienti principali. La coca e la cola. Il 29 maggio 1886, Pemberton pubblica sull’Atlanta Journal la prima campagna Coca-Cola e, pensando sia giunto il momento di dare un logo alla bevanda, il primo gennaio del 1887 riunisce i suoi associati: Holland, suo amico di sempre, Doe, primo presidente della Coca-Cola, e Robinson, il ragioniere. I punti all’ordine del giorno sono diversi e mentre si parla di proto-posizionamenti e proto-strategie di marketing, Pemberton intravede sulla copertina del libro contabile di Robinson un’elegante scritta ispirata al carattere Spencerian Script che riportava il nome Coca-Cola. Lo guarda ancora per qualche secondo e poi dice: «Ecco! questo sarà il nostro logo». E da allora, negli ultimi 134 anni il logo della Coca-Cola non è mai cambiato.

Uno dei brand più conosciuti e profittevoli al mondo è nato così. Da un ragioniere che, per vezzo, aveva scritto il nome della società per cui lavorava sul suo libro contabile. Un logo che per più di dieci anni è stato al primo posto della classifica Best Global Brand, scalzato, per la prima volta, da due loghi che hanno avuto un’origine simile a quella di Coca-Cola. Apple e Google. La mela di Apple, che nell’ultimo anno ha guadagnato una crescita del 38% e ha un valore stimato di 323 milioni di dollari, è stata inizialmente tradotta in logo dal terzo fondatore dell’Apple Computer, l’ingegnere Ronald Wayne. Allora il logo rappresentava Sir Isaac Newton seduto sotto un albero poco prima di essere colpito in testa dalla mela. Il logo, così com’era, non si prestava alla sua riproduzione sui computer così, nel 1977, fu ridisegnato dal designer Rob Janoff, che lo creò per fare un favore a Regis McKenna, suo datore di lavoro e amico di Steve Jobs. Il logo (originale) di Google fu invece disegnato dal suo co-fondatore Sergey Brin utilizzando il programma gratuito GIMP e basandosi sul font Catull disegnato dal designer Gustav Jaeger nel 1982.

Molti dei più famosi loghi al mondo sono stati disegnati dai fondatori stessi o da designer allora sconosciuti. Il logotipo della Disney è stato scritto da Walt Disney in persona nel 1923. Il logo di Twitter è stato pagato 15 dollari. Lo Swoosh della Nike fu inventato da Carolyn Davidson, una studentessa di grafica alla Portland State University, nel 1971 e fu pagato 35 dollari a fronte di un lavoro di 17 ore. Ciò che ha reso questi marchi conosciuti in tutto il mondo non è stata la loro estetica, ma il loro contenuto e il loro carattere. Il fatto di essere unici e di rappresentare una storia unica. Parto da queste storie di branding per introdurre la corrente di oggi: il Blanding, ovvero la tendenza di un’azienda o di una Startup a semplificare e omologare il proprio logo agli standard del settore.

Blanding: Tendenza di un’azienda o di una Startup a semplificare e omologare il proprio logo agli standard del settore.

La parola “Blanding” viene dall’aggettivo inglese “Bland”, che possiamo tradurre come insipido, noioso, o sciatto e che a sua volta deriva dal latino blandus, carezzevole. È un termine che sembra essere all’opposto di quello di “Branding” che viene sempre dall’inglese “Brand” inteso tanto come verbo (marchiare) quanto come sostantivo (stile). Eppure oggi la tendenza sembra essere quella di passare dal Branding al Blanding. Passare dai loghi, magari amatoriali, ma sicuramente caratteristici e ricchi di personalità come quello disegnato dal primo ragioniere della Coca-Cola, a loghi più standardizzati come quelli delle grandi Big Tech americane (dal nuovo logo di Google passando per quello di AirBnb, Spotify o Pinterest) o delle grandi case di moda (dal graziato perduto di YvesSaintLaurent ai nuovi loghi di Balmain o Burberry). Con il paradosso (economico) che lo sgraziamento e l’omologazione di un brand viene a costare molto di più dell’ideazione di un brand originale e distintivo.

Il Blanding è un fenomeno che va oltre il mondo del Graphic Design e intercetta uno dei tanti paradossi della nostra epoca: di fronte a un numero sempre maggiore di scelte e possibilità tendiamo a fare tutti le stesse cose. Ascoltiamo la stessa musica. Guardiamo le stesse serie o gli stessi film e abbiamo tutti bisogno di vedere immagini familiari o loghi puliti e immediati. Tendenza che si acuisce nei momenti di crisi quando sentiamo ancora di più il bisogno di certezze, di rassicurazioni e, quindi, di omologazione. Di fronte alla complessità e all’incertezza cerchiamo immagini semplici e iconiche. Parola che, non a caso, viene dal greco eikón ‘immagine’, derivato di eikénai ‘essere simile’.

AVVISTAMENTI

Cose interessanti che ho trovato online e offline.

  • Un sito per confrontare il costo medio della vita. Per esempio, tra Londra e Milano, Taxi, Stipendi e Pepsi è meglio prenderli a Londra. [Link]
  • Lo stato dei nomadi digitali nel mondo. [Link]
  • Una app per tenere traccia di tutte le nostre subscription. [Link]
  • Un report di 213 pagine sullo stato dei Venture Capital che evidenzia come stiano crescendo gli investimenti. [Link]
  • Un quiz per riconoscere quale tra un’opera reale e una NFT vale di più. [Link]
  • Un elenco di città negli USA che pagano i remote workers per trasferirsi. [Link]
  • Qualche consiglio su come negoziare da freelance. [Link]
2021_10_13_I-Giovani-Maneschi-Leggono-Tutti-Dostoevskij
Muro filosofico #15: “I giovani maneschi leggono tutti Dostoevskij” una frase meravigliosa in cui mi sono imbattuto diversi anni fa nei pressi dei navigli a Milano.

Nel suo “Il crepuscolo degli idoli”, scritto nel 1888, Friedrich Nietzsche definisce Dostoevskij l’unico psicologo dal quale abbia imparato qualcosa, annoverandolo tra i più bei casi fortunati della sua vita. Sebbene, come è noto, Dostoevskij non sia stato uno psicologo ma un autore, penso che pochi autori siano riusciti come lui a comprendere la psiche umana. In tutte le sue immense sfaccettature. Dall’amore compassionevole di Sonja Semënovna alla rabbia dei suoi fratelli Karamazov che arrivano a dire: «Credo in Dio, ma non posso più accettare il mondo che Egli ha creato.»

Trovi altri muri filosofici qui.

Jacopo_Perfetti_Festival_Letteratura_Mantova
Sono Jacopo Perfetti, di giorno lancio (e aiuto a lanciare) progetti imprenditoriali e insegno imprenditoria e innovazione dei modelli di business.

Di notte scrivo. Il mio ultimo libro, nonché primo romanzo, è T.E.R.R.A.

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