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CORRENTE

A cura di Jacopo Perfetti.

«Coloro che non cambiano mai idea, non cambiano mai nulla.»

- Winston Churchill

Buongiorno,

questa è la tredicesima edizione di Corrente, una newsletter sui fenomeni dell’epoca corrente, oggi parliamo di Generation Flux mentre settimana prossima parleremo di Misattribution.

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Buona lettura, Jacopo

2021_10_01_Generation_flux
Stephen Fry è un attore britannico. Ha vestito i panni di Oscar Wilde nel film Wilde diretto da Brian Gilbert, quelli di Gordon Deitrich in V For Vendetta e di Mycroft Holmes nel Sherlock Holmes di Guy Ritchie. Tuttavia sarebbe riduttivo incastrare la sua figura in un’unica categoria professionale. In un Job Title. Stephen Fry non è solo un attore, ma anche uno scrittore, un regista, uno sceneggiatore, un ex-galeotto (da adolescente ha passato tre mesi in prigione per truffa con carta di credito…) e un attivista.

Lui stesso un giorno disse di sé di non essere un nome ma un verbo: «Noi non siamo nomi, siamo verbi. Non sono una cosa sono una persona che fa cose e non so mai cosa farò un domani. Penso tu possa rimanere imprigionato se pensi a te stesso come un nome.» È una definizione che trovo molto attuale.

Mai come oggi, non conta il nome che ci diamo ma quello che facciamo ogni giorno. Conta la sostanza, non il sostantivo. In un’epoca di continuo cambiamento, anche noi come professionisti (e come persone) siamo chiamati a cambiare di continuo avvicinandoci a quella che Robert Safian definisce generation flux, intendendo tutte quelle persone che, indipendentemente dalla loro età, sono riuscite a sviluppare le proprie idee all’interno di un’economia che ha fatto del cambiamento la sua caratteristica principale, grazie alla loro adattabilità, alla loro flessibilità, alla loro volontà e capacità di continuare ad apprendere, ma anche grazie alla loro determinazione e alla loro consapevolezza.

Generation Flux: Persone che, indipendentemente dalla loro età, sono riuscite a sviluppare le proprie idee all’interno di un’economia che ha fatto del cambiamento la sua caratteristica principale.

Quello della generation flux è un atteggiamento verso il futuro che abbraccia il caos contemporaneo, mantiene vivo il bisogno di tenere tutte le strade aperte, ma che si adatta al mercato attuale inteso come un business paradossale. All’interno della sua ricerca, Robert Safian parla di aziende come Mashable, Box, AirBnB, Dropbox, Flipboard, Foursquare, Gilt Groupe, Living Social e Spotify. Tutte realtà che sono state in grado di comprendere il proprio tempo e viverlo da protagonisti, senza farsi ingabbiare in dinamiche che non sentissero proprie. Persone che hanno rifiutato il principio causa-effetto per cui se in passato è stato così allora il futuro sarà così. Sta solo a noi immaginare nuove dinamiche che creino nuovi futuri.

Viviamo nell’era post-post in cui tutto è post-qualcosa. Invece di essere post-moderni, post-capitalistici, post-industriali, post-ideologici, post-human o post-fordisti quello che stiamo vivendo è un ottimo momento per provare ad essere pre-qualcosa. Usciamo da un ventennio che si è aperto con il crollo delle torri gemelle e si è chiuso con la Pandemia. Questo ha lasciato un grosso spazio per chi ha la capacità di reinventarsi e adattarsi al cambiamento.

In un mondo che cambia di continuo infatti, il Quoziente di Adattabilità, più che quello di Intelligenza, diventerà un elemento chiave del successo (e della sopravvivenza) di una persona. Adattarsi a nuovi contesti. Cambiare idea. Cambiare mentalità. Cambiare strategia. Continuare a imparare e formarsi. Abbandonare i propri pregiudizi. Sbagliare. Fare test più che fare previsioni. Provare strade differenti e differenti modi di fare le cose. Perché come scrive Yuval Noah Harari: «Nel XXI secolo, non possiamo più permetterci il lusso della stabilità. Per rimanere rilevanti, abbiamo bisogno di continuare a imparare e a reinventare noi stessi, sia quando siamo giovani sia a cinquant’anni.» Abbiamo bisogno di abbandonare la comodità e la sicurezza di essere un nome, per abbracciare la dinamicità e la meraviglia di essere un verbo.

AVVISTAMENTI

Cose interessanti che ho trovato online e offline.

  • Perché dovremmo spegnere la telecamera durante le nostre video calls. [Link]
  • 17 domande da farsi prima di cambiare lavoro. [Link]
  • Il primo contratto fatto da Google con un datacenter (via fax). [Link]
  • I Brand più odiati al mondo (chissà perché in Finlandia odiano così tanto la Ferrari…). [Link]
  • Sei regole che definiranno il nostro secondo inverno di Pandemia. [Link]
  • Un report sullo stato dell’Intelligenza Artificiale. [Link]
  • 20.000 anni di storia della temperatura terrestre. [Link]
2021_09_29_Ancora-5-Minuti-WEB
Muro filosofico #13: “Ancora 5 minuti” una frase che ho trovato (più volte) scritta con spray rosso sui muri di Milano e che mi ha ricordato la canzone Reflektor degli Arcade Fire e, in particolare, un suo verso: «If this is heaven I need something more».

È un verso che sintetizza molto bene l’ansia di non avere mai abbastanza. Questa fastidiosa sensazione di poter avere sempre di più. Non tanto perché si vuole avere di più ma perché si ha l’illusione di poter avere di più. Avere più soldi, avere più follower, avere più cose, essere più produttivi, fare di più, avere più tempo, avere ancora 5 minuti.

Dai tempi della Rivoluzione Industriale il concetto di “abbastanza” non è più bastato. Nel momento in cui la produzione ha superato la domanda, il bisogno ha smesso di essere un bisogno naturale per essere sempre di più un bisogno indotto. Pensiamo alla tecnologia e alla musica. Quando da piccolo usavo il WalkMan mi sembrava incredibile poter portare in giro con me tutte quelle canzoni. Poi è arrivato il CD e le canzoni sulla cassetta non mi sembravano più abbastanza. Poi sono arrivati gli MP3 e un CD di canzoni non mi sembrava più abbastanza. Poi l’iPod da 16 Giga, poi quello da 32 Giga e da 64 Giga. E alla fine è arrivato Spotify che mi permette di avere tutte le canzoni del mondo sempre con me. E ora? Spotify è il limite o ci sarà qualcosa che mi permetterà di avere ancora più canzoni? Qual è il limite per sentirmi soddisfatto? Quando è abbastanza? Quando lo decido io o quando lo decide la tecnologia?

Nella mitologia tibetana buddista esiste un termine molto interessante: “Hungry Ghost”, fantasma affamato, indica uno stato in cui più veniamo sfamati, più abbiamo fame. È un concetto molto attuale, che rappresenta bene la condizione di noi consumatori che più acquistiamo, più sentiamo il bisogno di acquistare. Più abbiamo e più vogliono avere.

Trovi altri muri filosofici qui.

Jacopo_Perfetti_Festival_Letteratura_Mantova
Sono Jacopo Perfetti, di giorno lancio (e aiuto a lanciare) progetti imprenditoriali e insegno imprenditoria e innovazione dei modelli di business.

Di notte scrivo. Il mio ultimo libro, nonché primo romanzo, è T.E.R.R.A.

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