Appunti sul Web 3.0.

Il Web 3.0 spiegato in un tweet:

Web1:
Le aziende creano contenuti.
Le aziende guadagnano soldi.

Web2:
Le persone creano contenuti.
Le aziende guadagnano soldi.

Web3:
Le persone creano contenuti.
Le persone guadagnano soldi.

Un estratto da un articolo:

Un nuovo modo di pensare alla proprietà sta entrando in collisione con la nuova tecnologia. Siamo sull’orlo della terza era del web. La prima riguardava l’informazione che scorreva liberamente: basta pensare a Google, che ci dava accesso alla conoscenza del mondo. La maggior parte di noi era un consumatore passivo. La seconda era è stata il social web: Facebook, Instagram, Twitter. La gente ha cominciato a creare i suoi contenuti, e questi contenuti sono diventati la linfa vitale delle grandi piattaforme. Siamo diventati partecipanti attivi, ma le piattaforme hanno divorato tutti i profitti. La promessa di internet era di eliminare le autorità. Invece di aspettare che una casa discografica ti metta sotto contratto, potevi condividere la tua musica su Spotify. Invece di chiedere a un giornale di condividere le tue parole, potevi twittarle. Però queste piattaforme sono diventate le nuove autorità. La terza epoca del web consiste nel raddrizzare la nave. Il capitale sociale diventa capitale economico. Il valore non si accumula più nelle mani di mediatori e intermediari. Quest’epoca economica significa che tutti possono investire in arte, in canzoni iconiche e in personaggi pubblici in cui credono. Non saranno le minoranze a modellare la cultura, ma le maggioranze. La cultura popolare sarà finalmente degna del suo nome.

Un estratto da una newsletter:

Web 1.0:
La prima iterazione del web, dal 1991 fino ai primi anni del 2000. Il web era composto prevalentemente da testi e immagini, i contenuti venivano creati principalmente dai developer (o comunque da persone con competenze tecniche) e la grande maggioranza dei “naviganti” (mi piace un sacco questa parola ma mi sa che è una mega boomerata) erano consumatori passivi di contenuti. Poca interattività, file statici, no database.

Web 2.0:
È il web da inizio anni 2000 ad oggi, quello che conosciamo tutti, il Web2. Entrano in gioco i social, l’interattività, i contenuti animati e complessi, il passaggio del web da esperienza passiva ad attiva, dove l’utente è anche creator (e non serve più essere dei tecnici per contribuire alla creazione del web). È il web dei blog, di Instagram, di YouTube, con due limiti: 1) Monetizzazione: tutti questi bellissimi tool sono dei prodotti, e se sono gratis, come già avrete sentito, il prodotto siete voi (e i vostri dati). Nel web2 da una parte c’è qualcuno che deve monetizzare, dall’altra qualcuno che deve pagare. 2) Sicurezza e privacy: va da sé che se i vostri dati sono il prodotto in vendita, rimane un margine sempre più risicato per sicurezza e privacy. E il controllo di questi dati non è in mano agli utenti, ma in mano alle aziende che li hanno acquisiti, di cui gli utenti fondamentalmente si devono fidare.

Web 3.0:
Il web3 nasce per superare i limiti del web2 (sia la dicotomia owner/user, sia la maggiore attenzione per sicurezza e privacy). Le parole chiave del web3 sono ownership e decentralizzazione. Il web3 è più sicuro, distribuito, auto-governato. È un cambiamento di paradigma: si passa da un mondo nel quale esiste una distinzione netta tra proprietario — owner — e utilizzatore — user —, ad un mondo nel quale gli user diventano anche contemporaneamente owner di ciò che producono. C’è universalità e trasportabilità: l’utente ha una presenza unica sul web – i propri asset, i token, la propria identità, sono unici e vengono riconosciuti ovunque nel web3, senza dover creare un’identità o un profilo nuovo su ogni piattaforma.

Uno schema:

Una modalità di accesso:

Un grafico: