Noia creativa.

Oggi ci annoiamo sempre meno. Con uno smartphone in tasca abbiamo sempre qualcosa da fare. E non fare niente ci fa quasi sentire in colpa. Sentiamo il dovere di riempire ogni momento della nostra vita nella speranza di rimanere meno tempo possibile con i nostri pensieri.

Per capire il livello (preoccupante…) cui siamo arrivati, secondo uno studio pubblicato su Science nel 2014, le persone preferiscono ricevere delle piccole scariche di Elettroshock piuttosto che stare da soli con i propri pensieri.

Oggi ci annoiamo sempre meno. Con uno smartphone in tasca abbiamo sempre qualcosa da fare. E non fare niente ci fa quasi sentire in colpa.

E questo è un problema per la nostra Intelligenza Creativa perché la noia stimola la creatività. Diciamocelo, la noia non è una sensazione piacevole. E così quando ci stiamo annoiando il nostro cervello si attiva per inventarsi qualcosa di nuovo per evitare la noia ed è proprio in quel momento che diventiamo più creativi. Cerchiamo delle vie di fuga alla noia.

Uno dei maggiori esempi di come la noia possa stimolare la creatività è quello della genesi di uno dei romanzi (e dei mostri) più celebri della storia: Frankenstein, di Mary Shelley.

Come si legge su Wikipedia, nel maggio 1816 la sorellastra di Mary Shelley, Claire Clairmont, diventa l’amante del poeta Lord George Byron e convince i coniugi Percy e Mary Shelley a seguirla a Ginevra. Il tempo piovoso (tipico dell’Anno senza estate) li confina nella loro residenza di Villa Diodati, dove per combattere la noia, occupano il tempo leggendo storie di fantasmi.

La noia stimola la creatività perché quando ci annoiamo il nostro cervello si attiva per inventarsi qualcosa di nuovo per evitare la noia ed è proprio in quel momento che diventiamo più creativi.

A un certo punto Byron propone di comporre loro stessi delle storie di fantasmi e così tutti cominciano a scrivere. Tutti tranne Mary che inizialmente non trova l’ispirazione per cominciare.

Dopo un po’ le conversazioni di Percy e Byron iniziano a concentrarsi sulla natura dei princìpi della vita, sul galvanismo (grazie anche alla presenza dell’amico Polidori, medico interessato al dibattito su tale argomento), sulla possibilità di assemblare una creatura da resti di altre creature morte ed infondere in essa la vita.

Queste discussioni accendono l’immaginazione di Mary Shelley e la portano ad avere un incubo: uno studente che si inginocchia di fianco alla creatura che ha assemblato, la quale, grazie a una qualche forza, comincia a mostrare segni di vita.

Nasce così, dalla noia di cinque amici bloccati in casa dalla pioggia, uno dei più leggendari miti della letteratura moderna.